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THE GATE (Il Portale) |
L'ultimo esercizio di algebra si confondeva in una nebbia grigia costellata di numeri, parentesi e lettere dell'alfabeto sotto gli occhi stanchi di Gianluca, dopo due ore ininterrotte di compiti. Con un tonfo chiuse il libro degli esercizi, e ci fece sopra una bella torre con quaderni, altri libri, block notes, diario e quant'altro ingombrava la sua scrivania. Si alzò stiracchiando per tutta la loro lunghezza i centosettantotto centimetri di quindicenne in pieno sviluppo, e ricompose nell'elastico argentato i sei centimetri di coda di cavallo, il cui sviluppo era invece ottusamente ostacolato da una madre dalla mentalità ristretta e retrograda. Constatato con soddisfazione di aver finito i compiti entro il tempo stabilito, si dispose a trascorrere il resto del pomeriggio in un modo più congeniale ai suoi gusti. Innanzitutto si concesse l'irrinunciabile, tradizionale panino con Nutella delle quattro (causa prima, sempre secondo la sua retrograda genitrice, della fioritura di brufoli che gli ornava la nobile fronte. Ovviamente mamma non teneva conto delle tempeste ormonali in corso). Masticando voracemente il prelibato alimento, si concesse qualche minuto di lettura della sua rivista preferita, un periodico sui giochi di ruolo e di simulazione Fantasy. Modestamente, si riteneva uno dei più grandi esperti viventi sull’argomento. Quindi, prelevato il casco regolamentare, si diresse verso i garages, non prima di aver lasciato a fluttuare sullo schermo del computer un vistoso "Sono da Giuliano. Ciao" per quando i suoi genitori sarebbero rientrati dal lavoro. Mentre usciva dall'autorimessa spingendo il suo adorato scooter nero con guarnizioni argentee, si disse che quel soleggiato pomeriggio di inizio giugno era proprio l'ideale per una bella sgroppata esplorativa. Da Cossato, dove abitava, salì a manetta verso Vallemosso, godendosi il contrasto tra il calore del sole e la freschezza dell'aria sul viso. Raggiunta la casa di Giuliano, si esibì in un'artistica versione del loro segnale convenuto: due fischi brevi, uno lungo, un altro breve. Si chiese per l'ennesima volta chi dei due e quando avesse avuto l'idea di un segnale così complicato. Non se ne ricordava proprio. Lui e Giuliano erano amici da sempre. Fino all'autunno precedente erano stati vicini di casa, nonché compagni di classe sia all'asilo che alle elementari, e quindi alle medie. Poi il nonno di Giuliano era morto, ed i suoi genitori avevano voluto trasferirsi dalla nonna, che abitava in una casa molto grande a Vallemosso, ed aveva paura a stare sola. Giuliano non aveva apprezzato molto il cambiamento, ma aveva dovuto abbozzare, tanto più che suo padre a Vallemosso ci lavorava pure. Per complicare le cose, alla fine delle medie, Gianluca si era iscritto al liceo scientifico, mentre Giuliano, decisamente meno versato per lo studio, aveva optato per un istituto professionale. Fortunatamente, grazie alla generosità dei pur preoccupatissimi rispettivi genitori, a quel punto avevano fatto la loro gloriosa entrata in scena gli scooter, che permettevano ai due amici di spostarsi in modo autonomo e quindi di frequentarsi con assiduità. Infine Giuliano fece la sua comparsa, fiondandosi giù per le scale, come sempre implacabilmente tallonato dalle raccomandazioni della nonna. Coetaneo di Gianluca, Giuliano era un po' più basso ed esile, i capelli biondi, lisci come spaghetti, la frangia sempre sugli occhi. I gusti di Giuliano in fatto di hobby e passatempi erano un tantino più prosaici rispetto a quelli di Gianluca. I giochi di ruolo lo interessavano sino ad un certo punto, poi si annoiava. Il fatto era che non si sentiva dotato di grande fantasia: preferiva restare nel mondo reale, magari guardandosi una sana partita di calcio o di basket in TV. Ma una cosa i due avevano in comune sin dall'infanzia: il gusto per l'esplorazione di strade e luoghi sconosciuti, preferibilmente tra i boschi. Il recente trasferimento di Giuliano a Vallemosso, i cui dintorni erano pressoché sconosciuti ai due, e l'altrettanto recente acquisizione degli scooter, oltre al provvidenziale ritorno della bella stagione, stavano dando in quei giorni nuovo slancio al loro passatempo prediletto. "OK, cerchiamo una strada nuova". Dopo che furono ridiscesi per qualche centinaio di metri verso Cossato, la fantasia un po' macabra di Gianluca venne attratta da una strada in salita con una freccia che indicava "Frazione Cappio", nome che gli fece istantaneamente venire in mente storie di antiche, crudeli esecuzioni capitali. "Sai dove porta quella?" chiese a Giuliano fermandosi e accostando il motorino. "Credo verso Strona" "Vediamo com'è?" "Affermativo, ti seguo" Gianluca imboccò deciso la salita. Dopo un paio di curve, eccolo di nuovo fermo, per la disperazione di Giuliano. "E adesso che c'è?" "Ehi, guarda lì" fece Gianluca indicando l'ansa di un tornante. Davanti a loro, proprio sull'orlo della strada, semisoffocato dalla vegetazione, ai piedi di un pendio boscoso, stava un piccolo, vecchio cancelletto arrugginito. Solitario, totalmente privo di una recinzione, senza la quale la sua presenza pareva assolutamente insensata. Tuttavia era ancora accuratamente chiuso da una catena, con tanto di lucchetto, il tutto nelle medesime condizioni di rugginosa decadenza. "E allora?" Giuliano aveva un'espressione vagamente disgustata "Che ci sarà mai di affascinante in un vecchio cancello cadente?" "Ma non capisci? Questo è sicuramente un Portale" "Un che cosa??" fece Giuliano, se possibile ancora più disgustato. "Un Portale, ovvero un accesso verso altre dimensioni, altri piani temporali, un'altra realtà... è evidente, sennò cosa ci starebbe a fare qui, chiuso con un catenaccio, ma senza recinzione? Presto detto: non delimita un terreno, ma un'altra dimensione!" "Ossignore, ci risiamo con i mondi alternativi! A parte il fatto che un resto di rete c'é, soffocata dai rovi ma c'é, come ti viene in mente di pensare che questo non sia quello che resta del tentativo di qualcuno di tenersi le castagne del suo bosco tutte per sé? Forse dovresti cambiare genere di letture..." concluse brontolando. "Il solito cinico materialista! Sei proprio sicuro di quello che dici? Te la senti di escludere totalmente che questo vecchio mucchio di ferro ossidato sia qualcosa di diverso e di più da ciò che sembra?" "Certo che sono sicuro! E se non passassi tutto il tuo tempo libero a imbottirti il cervello di spassose fandonie come un bimbetto, avresti smesso anche tu da un bel po' di credere nelle fiabe. La realtà è una sola, ed è questa, che calpesti con le tue scarpacce puzzolenti e che percorriamo nella sua estensione spazio-temporale con le ruote delle nostre moto. E adesso andiamo, dài!" Ma Gianluca ormai si era intestardito "No, io ti sfido! E ti propongo una prova di coraggio... Visto che sei proprio sicuro che questo cancello non porti in nessun posto speciale, ti sfido ad aprirlo, ed attraversarlo con me domani a quest'ora." Giuliano alzò gli occhi al cielo, esasperato, e gli rispose con il suo collaudato tono da uomo di mondo: "Che caspita mi tocca ancora sentire! Pensavo che avessimo superato questa fase da qualche anno. Ma se ti fa piacere portare fino alla fine questo giochetto infantile, OK, ci sto. Domani a quest'ora ci portiamo un tronchese, tagliamo la catena e attraversiamo il rottame. Così poi te ne starai tranquillo per qualche mese senza sparare cazzate. Spero solo che non lo venga a sapere nessuno. Penserebbero che siamo ancora in fase pre-svezzamento. Adesso possiamo andare, Milord? Risalite sul vostro destriero, indossate l'elmo e andiamo a cercare altri draghi da sconfiggere!" "Scherza, scherza tu! Vediamo se domani a quest'ora avrai ancora tanta voglia di ridere". Gianluca comunque faceva sul serio. Il giorno dopo si presentò all'ora stabilita a casa di Giuliano, dotato di regolamentare tronchese infilato nel giubbotto per avere le mani libere. "Ehi, è bello tosto quell'affare! Pensi di fare a tranci tutto il cancello?" "Volevo andare sul sicuro. Meno male che mio padre ha un'officina ben attrezzata in cantina! Andiamo?" Giunti sul posto, Giuliano parcheggiò il motorino su un lato della strada e si avviò verso il cancello. "Ti consiglierei di chiuderlo con l'antifurto" fece Gianluca "Potremmo stare via parecchio." "Sembra proprio che tu ci creda davvero" ridacchiò Giuliano "Ma se credi di spaventarmi con queste fregnacce, ti butta male. Comunque, visto che vogliamo giocare, giochiamo pure fino in fondo." e imitò Gianluca chiudendo il motorino. Gianluca si avvicinò al cancello con aria trepidante "Il momento è solenne" disse estraendo il tronchese da dentro il giubbotto, e si accinse a tagliare la catena. La maledetta, pur essendo arrugginita, opponeva una strenua resistenza, e ci vollero parecchi minuti di erculei sforzi da parte dei due eroi per averne infine ragione. La catena cadde con un fragoroso tintinnio, perdendosi nell'erba alta. Gianluca e Giuliano spinsero con tutte le loro forze la porticina, che pareva poco propensa ad aprirsi. "E' bloccata dalla terra e dall'erba dall'altra parte" ansimò Gianluca. "Dall'erba dell'altra dimensione o di questa?" "Deficiente, di questa! Aspetta." Con la punta del suo scarponcino corazzato grattò e scalciò per eliminare l'ostacolo, poi tornò a spingere. "Ecco, si apre! Seguimi, mio prode!" E varcarono, quasi affiancati, la fatale soglia. Passando, Giuliano sentì sulla faccia e, stranamente, essendo vestito, su tutto il corpo, come un fastidioso solletico di ragnatele, anche se, a dire il vero, di ragnatele sul cancelletto non ne aveva proprio viste. Si trovava proprio nello stesso bosco di prima e stava per esplodere in una colossale presa per i fondelli quando qualcosa negli occhi di Gianluca lo raggelò. Gianluca stava fissando qualcosa alle loro spalle e nel suo sguardo c'era il panico assoluto. Voltandosi a guardare, gli parve che il cuore gli mancasse un battito. Il cancelletto che avevano varcato un attimo prima non c'era più. Al suo posto, un arco di pietre, che pareva un residuo cadente di un'antica dimora, incrostato di muschio, solitario ed apparentemente inutile quanto lo era stato il cancello arrugginito. Al di là, la strada sul cui lato avevano parcheggiato un attimo prima era scomparsa anch'essa, moto, guard rail e lampioni inclusi. Soltanto uno stretto e tortuoso sentierino si inerpicava per il bosco, più fitto, maestoso e cupo di quanto ricordassero. Si guardarono, gli occhi sbarrati di terrore stupefatto. "Io...io non credevo, io pensavo di farti solo uno scherzo, di farti paura, non pensavo che fosse davvero un Portale... Oddio, e adesso?" "E adesso niente, ritorniamo di là e finito..." esclamò Giuliano avviandosi deciso a riattraversare il Portale. "No! Fermo, per carità!" Gianluca agguantò Giuliano per il colletto del giubbotto appena prima che varcasse la soglia "Tu non sai come funzionano i Portali? Sono dei passaggi aperti su varie realtà, e vari spazi temporali. Ma il tempo non è fisso, è fluido e si muove continuamente. Passando di là potresti finire ovunque, e in qualunque epoca. Magari tra quarant'anni, quando i nostri genitori sono ormai dei vecchietti che ancora piangono ricordando la nostra improvvisa scomparsa in un giorno di giugno negli anni Novanta! E guarda il tuo orologio: scommetto che si è fermato come il mio nell’istante in cui abbiamo attraversato il cancello. Siamo fuori dal tempo e dallo spazio che conosciamo, e non sappiamo come rientrare!!" "Il tuo amico ha proprio ragione" La voce alle loro spalle suonò gentile ed autorevole. Voltandosi di scatto, si trovarono di fronte un vecchio, curvo per gli anni, che indossava una veste lunga di lana grezza, simile ad una tonaca monacale, incrostata sul fondo di foglie secche e rametti. Al collo portava un medaglione d'argento con simboli incomprensibili, e si appoggiava ad un lungo bastone di legno riccamente, anche se un po' rozzamente, intagliato con figure di animali e piante che si intrecciavano. Di sicuro non sembrava all'avanguardia, in fatto di moda. O forse lo era troppo? Erano finiti nel passato o in un remoto, apocalittico futuro? E se erano nel passato, era un passato reale, o si erano smarriti nel labirinto spazio-temporale delle realtà ipotetiche parallele? E come poteva quel vecchio parlare un italiano perfetto e attuale? Tutte queste domande si accavallavano nella mente di Gianluca, vero esperto di mondi alternativi, anche se fino a due minuti prima non avrebbe scommesso il suo motorino sulla loro reale esistenza. "Voi dovete venire dal ventesimo secolo, dalla realtà sviluppatasi dall'ipotesi che Gesù di Nazareth - che dovrebbe nascere tra… uhm…circa trecento anni - non sia stato trucidato nel corso della strage detta 'degli innocenti' " teorizzò il vecchio guardandoli da sotto le sopracciglia cespugliose e attorcigliandosi la lunga barba su un dito. "Non siete i primi... purtroppo nella vostra dimensione il Portale è stato lasciato incustodito. E' finito qui un altro malcapitato, mi sembra nel vostro 1943, credo ci fosse una guerra da voi. Prima che perdesse del tutto il senno e finisse i suoi giorni come mendicante pazzo e ubriaco, ebbi il tempo di imparare abbastanza bene da lui il vostro curioso modo di parlare. Immaginavo che mi sarebbe tornato utile. Ora possiamo intenderci". "Certo che bisognerebbe fare qualcosa per quel lato del Portale... così è proprio pericoloso" continuò borbottando tra sé "... ma non è un vostro problema. Ora dobbiamo trovare il modo di rimandarvi di là. Non abbiamo bisogno di un altro paio di straccioni ubriachi da queste parti." Gianluca e Giuliano erano ancora troppo traumatizzati per replicare in maniera coerente, quindi per un bel momento non riuscirono a far altro che fissare imbambolati l'autorevole personaggio che avevano davanti. Gianluca si riscosse per primo, com'era prevedibile. Fissando il medaglione che il vecchio portava al collo gli chiese: "Tu... tu sei un Druido?" "Eh!?" fece l'interessato "Un cosa?" "Un Druido, un sapiente, un sacerdote celta..." "Kelta! Ah, sì, appartengo al Popolo. E possiamo dire che sono un sacerdote e un saggio... Sì, sì" aggiunse quasi tra sé con un sorrisetto compiaciuto. "Vedo che non siete completamente ignoranti, voi. Non come quell'altro..." "Hai detto che puoi rimandarci dall'altra parte... Puoi farlo subito?" proruppe Giuliano raccogliendo tutto il suo coraggio. "Io? Mai detto niente del genere. Il genere di magia che potrebbe farlo non appartiene agli uomini. Almeno non a quelli di questo tempo." "Allora siamo prigionieri qui per sempre!!??" quasi gridò Giuliano. "Non ho detto neanche questo. Ma non è un problema di facile soluzione. Forse è meglio che mi seguiate a casa mia, dobbiamo parlare, e vi devo spiegare un po' di cose..." Senza aggiungere altro si avviò su per la salita, appoggiandosi al suo bastone. Ai due non restò che seguirlo. Giuliano si voltò un paio di volte verso il Portale, sperando di rivedere il cancelletto e che tutto si rivelasse un momentaneo delirio. Ma anche da lontano, quello che vedeva era l'arco di pietre e i ruderi intorno. Rassegnato, allungò il passo per raggiungere il vecchio e Gianluca, che l'avevano già un po' distanziato. La "casa" del saggio non era altro che una capanna a pianta circolare, posta in cima ad un pendio, con il bosco alle spalle ed un ampio prato davanti. Da lassù si percepiva chiaramente la differenza dal mondo che Gianluca e Giuliano ricordavano. Niente strade, niente case, solo un continuo susseguirsi di colline boscose. Solo al di là di un pendio, si intravvedeva un filo di fumo che suggeriva una presenza umana. "Cosa c'é laggiù?" chiese Gianluca indicandolo. "Il villaggio" rispose il vecchio "Quello è il fuoco del fabbro, il capo del Clan. Meglio che non sappiano che siete qui. Il vostro predecessore ha già portato abbastanza scompiglio, e nonostante siano già passati diversi anni dalla sua morte, la gente ne parla ancora con timore. Nessuno si aggira mai dalle parti del Portale. Sanno che è pericoloso e temono le creature che ne possono emergere. Non tutte sono innocue come voi due, ma la gente del villaggio è ignorante e non lo sa. Potrebbe scambiarvi per ciò che non siete, ed eliminarvi per non correre rischi. Per cui non muovetevi da qui senza che io lo sappia, o sia con voi." All'interno della capanna, molto primitiva e spartana, c'era soltanto un focolare centrale.Il pavimento era di terra battuta, e l'unica fonte di luce era la porta, lasciata aperta. Da un lato un giaciglio di paglia e pelli, dall'altro un ripiano semicircolare che seguiva una parte della parete reggeva una serie di pergamene arrotolate, piccole ciotole e anfore di varie forme e dimensioni. Una specie di rustica madia, un piccolo tavolo e quattro rudimentali sgabelli a tre zampe completavano l'arredamento. Il vecchio fece cenno ai due ragazzi di prendervi posto, quindi versò da un piccolo otre di pelle che pendeva da un trave tre generose dosi di un liquido rosso in tazze di terracotta, che distribuì. Gianluca e Giuliano fiutarono con circospezione il contenuto delle loro tazze. "E' soltanto buon vino. Bevete, vi rimetterà in sesto." li rassicurò il vecchio ridendo. I due, che nonostante la giovane età, quando in famiglia era permesso, non disdegnavano di assaggiare un po' "di quello buono", non se lo fecero ripetere due volte. Già dopo qualche sorso si sentirono rinfrancati, e un po' meno terrorizzati. Seduti attorno al rustico tavolo insieme al vecchio, iniziarono a rilassarsi, e presero a fare domande sul portale, sulle realtà parallele, e soprattutto sul modo di tornarsene a casa. “L'Occhio dei Mondi” fece il vecchio con un sorriso arcano "temo che quello sia l'unico mezzo”. “L'Occhio dei Mondi?” bisbigliarono i ragazzi. "Sarà bene che vi spieghi tutto da capo" disse il vecchio con un sospiro rassegnato "O non capirete mai nulla di tutta questa storia, e del modo di uscirne. Vivi, se possibile." Un brivido corse lungo la schiena dei due amici, che tuttavia non fecero commenti e si disposero all'ascolto. “Tutto ebbe inizio molto tempo fa, quando io non ero ancora nato, e il mio Maestro, colui che mi iniziò e mi istruì nelle vie della Sapienza, e che io conobbi quando era già nella sua tarda vecchiaia, era ancora un ragazzo. Fu lui a raccontarmi tutta la vicenda. A quel tempo questi territori si trovavano sotto il dominio di un nobile guerriero, chiamato Ludd, che aveva passato lunghi anni della sua vita a combattere in terre lontane. In una di queste, molto a nord e al di là dal mare, pare avesse appreso antiche ed arcane facoltà magiche, ed aveva preso moglie. Al suo ritorno l’aveva portata con sé, e su di lei correvano voci ancor più inquietanti. Appariva giovane, ma aveva lo sguardo di una vecchia. La sua pelle era fresca ed intatta, ma i suoi capelli erano candidi, e lunghi sin quasi ai piedi. Fu lei, dicono, a volere la costruzione di una grande casa completamente in pietra, quando da noi non s’erano viste che abitazioni in legno. Fu lei ad aggirarsi nella notte intonando strane litanie sino a trovare il luogo adatto dove iniziare la costruzione. Sempre lei a dirigere il lavoro degli uomini che la edificarono, basandosi su cognizioni di architettura a quei tempi, e tuttora, sconosciute in questi luoghi. L’edificio fu dotato di molte stanze, lunghi corridoi, ed intricati sotterranei che partendo dalle cantine si diramavano in tutte le direzioni I vecchi raccontano ancora che tutti coloro che collaborarono alla costruzione morirono poi in capo a pochi mesi, chi di malattia, chi misteriosamente attaccato dalle belve nei boschi. Alcuni infine si suicidarono gettandosi da una rupe nel torrente. Di questi si dice che furono quelli che costruirono l’ultimo dettaglio all’interno della casa, una grande porta ad arco, che si apriva su un cunicolo che pareva sprofondare nelle più oscure viscere della terra. Si narra che dapprima il loro sonno si popolò di incubi atroci, e che infine persero del tutto il senno. Solo grazie alle mie conoscenze posso lontanamente immaginare quali empi riti si svolgessero nei sotterranei di quel luogo maledetto, quali malefiche entità quella coppia malvagia tentasse di evocare, al fine di aumentare a dismisura il proprio potere sulle cose e sulle persone. In quel periodo di terrore dal villaggio sparirono misteriosamente molti animali domestici, e persino alcuni neonati. I corpi di alcuni degli animali vennero ritrovati nei dintorni, orrendamente mutilati e recanti i segni di una terribile agonia. Dei bambini invece non si seppe più nulla, anche se ancora oggi qualcuno giura di udire talvolta dei vagiti giungere da sottoterra nei dintorni del Portale. Avrete capito che il Portale che avete così incautamente attraversato non è altro che quell’arco aperto verso l’abisso costruito nel cuore della casa di Ludd. La sua sposa era una Sapiente del massimo livello, ma aveva dedicato le sue conoscenze al conseguimento del proprio potere personale, tentando di evocare da altre dimensioni potenti entità che credeva di riuscire a mantenere sotto il proprio dominio e sfruttare per i propri fini. Ma il Male è potente, e purtroppo per lei e per Ludd le cose non andarono come avevano creduto. Nemmeno io riesco ad immaginare cosa possa essere accaduto la notte che la casa andò distrutta. Posso soltanto ipotizzare che le potenze che evocarono quella volta presero il sopravvento. Dal villaggio, al di là della collina, si udirono sibili, urla disumane ed altissime, parole incomprensibili gridate con voci che parevano ruggiti, e poi una forte esplosione, ed una luce bianca ed accecante, come quando il fulmine colpisce un grande albero. Ma quella notte non c’era temporale. Era una limpida notte d’inverno. Ai coraggiosi che osarono valicare il costone per vedere cosa fosse accaduto, si presentò una scena indescrivibile. Della casa non restavano che poche rovine fumanti. Molti dei massi con cui era stata costruita erano sparsi a grande distanza, come lanciati da un gigante. In piedi non restava che la porta ad arco, aperta sul nulla. La terra era franata a coprire completamente il cunicolo al di là. E sulla soglia, morente, Ludd delirava in una lingua sconosciuta. Di sua moglie non vi era traccia. A coloro che osarono avvicinarsi, tra cui il mio Maestro, che all’epoca aveva forse unici o dodici anni, Ludd riuscì a bisbigliare alcune parole. Tenendo stretto un monile che portava al collo, li pregò di seppellirlo con lui in un luogo inaccessibile. Raccomandò loro di non pronunciare mai più il nome maledetto della sua diabolica consorte, affinché venisse dimenticato. Disse inoltre di non avvicinarsi mai, e tanto meno di valicare il Portale, ma di non cercare di distruggerlo, perché le conseguenze avrebbero potuto essere imprevedibili e forse irrimediabili. Poi spirò. I suoi ultimi ordini furono eseguiti, e da allora la gente del villaggio tenta di dimenticare quel terribile periodo. Ma la presenza del Portale non lo permette. Il Portale richiede una continua vigilanza, ma come dimostra la vostra presenza qui, non sempre è sufficiente. La vigilanza dovrebbe esserci su tutte le sue aperture, il che è quasi impossibile, essendo i varchi molto numerosi sui vari piani di realtà...una specie di labirinto dimensionale...” e il vecchio si perse nuovamente in complesse elucubrazioni sulla sicurezza dei Portali. Ma Gianluca e Giuliano erano molto più interessati a come ritornare a casa, quindi lo riscossero dalle sue considerazioni insistendo sull’argomento che stava loro a cuore: “E l’Occhio dei Mondi cosa c’entra?” “L’Occhio dei Mondi non è altro che il monile che Ludd portava al collo, e che gli era stato donato dalla sua consorte. Dai miei studi sono giunto alla conclusione che deve essere una specie di “lente” soprannaturale, capace di mostrare a coloro che si trovano davanti al Portale quale realtà si trova in quel momento davanti a loro. A lui e alla moglie serviva per vedere quali poteri evocare al di qua, ma a voi potrebbe servire per vedere il punto giusto per... saltare al di là. Il problema è che bisogna... ehm... andarlo a prendere. Poco prima della morte di colui che vi aveva preceduto attraverso il Portale, ero già arrivato a queste conclusioni, ed avevo anche localizzato il punto da cui si può arrivare al luogo di sepoltura di Ludd. Ma la mia età avanzata non mi permette di arrischiarmi in quei luoghi. E quel poveraccio aveva già completamente perso la salute ed il lume della ragione, per poterlo mandare a cercare la propria salvezza. Si tratta di rientrare da un’altra apertura nei sotterranei che partivano dalla casa di Ludd. Impossibile prevedere cosa può essere rimasto là sotto. Quel poveraccio non sarebbe riuscito a rimanere vivo neanche per dieci passi. Ma per voi è diverso...” disse con uno strano luccichio negli occhi. Gianluca e Giuliano si guardarono stralunati: loro, entrare in un antico labirinto di cunicoli sotterranei, infestato da chissà quali creature di questo o di altri mondi, per sottrarre un monile ad un cadavere... Gianluca cominciò di nascosto a pizzicarsi per essere sicuro di non essere nel pieno di un brutto incubo dopo una serata trascorsa a giocare con gli amici una delle loro partite “fantasy”. Giuliano si limitò a prendersi la testa fra le mani, accasciarsi sul tavolo e sforzarsi di trattenere il pianto. Il vecchio sapiente, dopo un intero pomeriggio trascorso a recitare strane formule, e ad eseguire complessi calcoli sugli astri solo a lui noti, comunicò ai ragazzi che il momento più propizio per tentare l’avventura sarebbe stata la prossima notte di plenilunio, di lì a due giorni. Lui li avrebbe accompagnati sino all’apertura del sotterraneo, dopodiché tutto sarebbe stato nelle loro mani. I due giorni successivi trascorsero per Gianluca e Giuliano come in un sogno, persi com’erano nelle loro emozioni, confusi tra entusiasmo, speranza e terrore. Infine venne la sera stabilita. Il vecchio li accompagnò sino alla riva del vicino torrente, che risalirono per qualche centinaio di metri, sino ad una rumorosa cascata. Qui il vecchio si fermò, indicando ai due ragazzi uno stretto varco tra le rocce, seminascosto dalle acque che cadevano spumeggiando. La cascata scintillava sotto i raggi della luna che filtravano tra i rami degli alberi. Gianluca e Giuliano percepivano a malapena la presenza dell’ingresso al mistero che forse avrebbe loro permesso di tornare a casa. Si guardarono, senza nascondersi la paura che provavano nel dovere entrare in un’antica tomba, per giunta nel pieno della notte. Gianluca tentò di sdrammatizzare: “Certo che nei romanzi gli eroi hanno almeno delle spade e delle armature!” Il vecchio non aveva potuto dar loro altro che un vecchio pugnale, per quanto abbastanza lungo, che Gianluca si era fissato alla cintura. “E soprattutto non hanno la fifa che abbiamo noi” puntualizzò Giuliano. “Comunque, se vogliamo avere almeno una possibilità di tornarcene a casa, dobbiamo proprio entrare là dentro. Che storia, però... E pensare che non potremo neppure raccontarla in giro!” sospirò Gianluca. “Non sarebbe meglio procurarci anche un paio di bastoni, prima di entrare? Chissà cosa troveremo là sotto...” Propose Giuliano, per non smentire il suo famoso senso pratico. “Mi pare un’ottima idea” approvò Gianluca. Pochi minuti dopo erano muniti di due nodosi rami, a mo’ di randelli, e si avvicinavano circospetti all’entrata, sguazzando nell’acqua gelata sino alla cintola. Aggirarono per quanto possibile la cascata, ed entrarono con decisione nella caverna. L’oscurità li avvolse, ed avanzarono a fatica, sdrucciolando ripetutamente sulle pietre umide e ricoperte di muschio. “Ma non si vede niente!” si lamentò Giuliano. “E io non ho neppure i miei fiamm... aspetta! Yahoo! Ecco la luce!” esclamò trionfante estaendo da una tasca interna del giubbotto alcuni bastoncini da pesca luminescenti. Li piegò, spezzandone l’anima interna che dava luogo alla reazione chimica luminescente, e porgendone uno a Gianluca sentenziò “Fiat lux! Meno male che indossavo questo giubbotto l’ultima volta che ho accompagnato mio padre a pesca!” Proseguirono alla debole luce verdognola dei bastoncelli. La grotta era molto ampia, la volta altissima era nascosta nell’oscurità. Un pungente odore di muschio e di umidità ristagnava ovunque. I due ragazzi esplorarono attentamente i contorni di quel luogo nascosto, quando l’attenzione di Giuliano fu attirata da un cumulo di rocce sul fondo della caverna. Si avvicinò per controllare meglio. “Gianluca, Vieni qui, presto!” “Cosa hai trovato?” chiese Gianluca. “Senti? C’é una debole corrente d’aria qui. Forse queste rocce nascondono l’accesso alla tomba. Proviamo a spostarle...” Finalmente, dopo lunghe fatiche, apparve un varco sufficiente a permettere di passare carponi. Sporgendosi al di là, scorsero una ripida, rozza scalinata che scendeva nel sottosuolo, resa infida dai gradini consunti e dal muschio scivoloso che li ricopriva. “Tombola!” esclamò Gianluca “Andiamo!” e si avviò, seguito da un esitante Giuliano. Con estrema prudenza scesero per decine di metri nel freddo ed umido cunicolo, infestato da vermi ed insetti di varia natura, verso i quali Gianluca provava un ribrezzo senza limiti. Gianluca si fermò d’un tratto, e per poco Giuliano non lo fece cadere urtandolo. “Ehi, qui c’é il vuoto... La scala è finita. Ah, no, ecco. Ci sono dei pioli di metallo infissi nella parete. Sembrano solidi. Dài, aiutami a scendere.” “Ecco, ti tengo”. Uno per volta, aiutandosi a vicenda, discesero la scala. Ma arrivati sul fondo, ciò che videro alla spettrale luce dei bastoncelli li riempì di orrore. A poco meno di cinquanta centimetri davanti ai loro piedi il pavimento mancava, ed in una buca profonda - certamente una trappola scattata secoli prima - giacevano i resti scheletriti di un essere umano, infilzato sulle punte di ferro piantate sul fondo della fossa. Giuliano non riuscì a reprimere un grido. Recuperata una parvenza di sangue freddo, i due ragazzi si guardarono attentamente intorno. “Ehi guarda, cos’è quello?” Penzolante da uno spuntone di roccia nella fossa poco più in basso, c’era qualcosa che pareva una vecchia bisaccia di cuoio, probabilmente persa cadendo dallo sventurato che giaceva sul fondo. Gianluca tenne Giuliano per i piedi mentre questo, più agile e leggero, si sporgeva oltre il bordo per raggiungerla. Aperta, rivelò di contenere quello che ai due parve un piccolo tesoro. “Una torcia nuova, un’altro pugnale... Bene, sicuramente più efficace dei bastoni…Un acciarino. Sai usare un acciarino?” Chiese Gianluca speranzoso. Accendere la torcia con un acciarino in quell’ambiente umido, vista anche la scarsa dimestichezza con l’attrezzo, si rivelò infatti un’impresa di estrema difficoltà. Solo dopo molti tentativi poterono contare su una fonte di luce decisamente più efficace dei bastoncelli da pesca, ma questo piccolo successo rincuorò non poco i due ragazzi. Non senza ulteriori difficoltà riuscirono ad aggirare la fossa. Solo per pochi centimetri Gianluca non fece la fine dello sventurato che li aveva preceduti, afferrato in extremis da Giuliano proprio sull’orlo del baratro. Il passaggio si strinse ulteriormente in un angusto corridoio di pietra lastricata, al termine nel quale si trovarono di fronte ad una massiccia porta di ferro, apparentemente insuperabile. “E adesso? Tu come te la cavi a scassinare serrature?” ironizzò Giuliano. “Piuttosto bene, di solito.” rispose Gianluca imperturbabile, estraendo dalla tasca dei jeans il suo inseparabile temperino svizzero. Dopo un armeggiare che parve eterno, uno scatto segnalò che Gianluca aveva avuto infine ragione dell’antico chiavistello. “Entriamo?” bisbigliò Giuliano. “Tu dici? Non eravamo venuti fin qui solo per dare un’occhiata?” Scherzò Gianluca, ma la sua voce era velata dal terrore. Spinsero insieme la pesante porta, che si aprì con un cupo cigolio, degno di un film dell’orrore. Immediatamente furono investiti da una zaffata di tanfo, misto di muffa, chiuso e decomposizione. Facendosi forza avanzarono nella cripta, e davanti ai loro occhi apparve ciò che sino ad allora avevano soltanto nebulosamente immaginato. Le spoglie mortali del re giacevano avvolte in ciò che rimaneva di vesti ricchissime, ormai ridotte in brandelli, che ricoprivano le spoglie di colui che in vita tante malefatte aveva compiuto. Ai lati dell’altare che reggeva i resti del re, due statue raffiguranti orribili demoni parevano vegliare sul sonno eterno del sovrano. I loro occhi luccicavano malignamente, come se fossero pronti ad animarsi in ogni momento, e parevano seguire attentamente i movimenti dei due giovani. “F..forza. Fa...facciamo quel che va fatto” Balbettò Gianluca avanzando di qualche passo. “E meno male che qui è già così umido...” commentò Giuliano. Come aveva detto il vecchio saggio, ecco lì, al collo del cadavere, trattenuto da una pesante catena d’oro, un lucente medaglione di cristallo trasparente, incastonato in un anello d’oro. L’Occhio dei Mondi! Perfettamente limpido e lucente nonostante il lungo tempo trascorso, era là, a portata di mano... “Prendilo e scappiamo...” sussurrò Giuliano. Gianluca afferrò il monile. Un improvviso gelo scese nella cripta, e un sentore di morte si diffuse pesante da ogni angolo, avvolgendo ogni cosa in una tenebra immota e senza tempo. Gianluca tirò la catena verso di sé, ed in quel momento il tempo riprese a scorrere, veloce come solo la morte sa essere. E la morte stessa stava stringendo ora il polso di Gianluca. No, no... era il re, che con occhi nei quali ardevano due rossi fuochi infernali fissava Gianluca, che pareva del tutto ipnotizzato ed incapace di reagire. Intanto impercettibili movimenti parevano provenire dalle due statue demoniache ai lati dell’altare, e fremiti di vita iniziavano a percorrere la loro viscida pelle squamosa. Fu Giuliano a scuotersi da quel torpore innaturale, e preso il pugnale si mise a tempestare di colpi il cadavere, il quale sinora non l’aveva considerato. Ora si sollevò dalla sua tomba, e lasciata la presa su Gianluca, si volse a fronteggiare Giuliano. Movimenti sempre più precisi scuotevano intanto i due demoni, ormai quasi ridestati. Gianluca si riscosse appena in tempo per realizzare quanto stava accadendo. Senza esitare, infilò la torcia tra i brandelli dell’abito del re. La stoffa sottile prese rapidamente fuoco, ed l’orribile essere si arrestò un solo istante, come sorpreso. Quell’istante bastò a Gianluca per afferrare l’Occhio dei Mondi, e tirare con quanta forza non avrebbe mai immaginato di possedere. La catena recise di netto la testa del re stregone, che rotolò a terra. Un enorme fremito scosse tutta la sala, e immediatamente rocce e terra iniziarono a crollare dal soffitto, mentre i due demoni, ormai completamente ridestati, facevano risuonare i sotterranei delle loro urla di furore e disperazione. “Corri... Scappa! Sta per crollare tutto!” urlò Gianluca lanciandosi verso l’uscita. Giuliano non si fece ripetere l’invito, e si precipitò a seguirlo, schivando per un soffio i taglienti artigli di uno dei demoni, che gli squarciarono gli abiti sulla schiena nel tentativo di afferrarlo. Non conservarono che un confuso ricordo del resto della loro fuga, una frenetica volata tra boati e crolli che minacciarono più volte di travolgerli. Emersero all’esterno barcollanti e senza fiato, sbattendo gli occhi semiaccecati dalla luce del sole, ancora basso sull’orizzonte. Era l’alba. Dunque tutto si era svolto in poche ore, ma a Gianluca e Giuliano pareva d’essere invecchiati di vent’anni. Come promesso il vecchio li aveva attesi, e si godeva il primo sole, ancora appoggiato al masso accanto al quale lo avevano lasciato la sera precedente. L’aspetto dei due era miserevole: gli abiti sporchi ed incrostati di fango, i giubbotti di entrambi avevano le maniche sdrucite. Quello di Giuliano esibiva un vistoso squarcio sulla schiena, ricordo della loro rocambolesca fuga. Faccia, mani, braccia e gambe erano un’unica collezione di graffi, tagli e contusioni. Entrambe le ginocchia di Gianluca sporgevano sporche ed insanguinate dai jeans strappati. Ma nel pugno stringeva ancora convulsamente l’Occhio dei Mondi. E il pugno faticò non poco ad aprirsi per mostrare e consegnare al Sapiente il suo prezioso contenuto. Il vecchio dovette pungolarli ed insistere per convincerli a non lasciarsi cadere come stracci lì sul posto, ma a seguirli nella sua capanna, dove prestò loro le cure necessarie. Lavò e medicò le loro ferite con delle tinture d’erbe, li rifocillò con vino e brodo caldo, li aiutò a liberarsi dai vestiti e a coricarsi nei loro rudimentali letti. Il giorno seguente nessuno dei due riuscì ad alzarsi. Rimasero, sfiniti e febbricitanti, ad agitarsi nei loro giacigli in preda a sonni inquieti pieni di incubi spaventosi. Soltanto dopo tre giorni Gianluca riuscì a fare qualche passo fuori dalla capanna. Per Giuliano ce ne vollero altri due. Seduto sul prato, mentre Giuliano dormiva ancora, al mattino del quinto giorno dopo la loro uscita dai sotterranei, Gianluca si trovò a pensare con apprensione a casa, ai suoi genitori. Dovevano essere fuori di sé dalla disperazione, come quelli di Giuliano. Era giusto una settimana che si trovavano lì. Il vecchio a quel punto era certo che con l’aiuto dell’Occhio dei Mondi sarebbe riuscito senz’altro a rispedirli a casa senza problemi, ma anche se fosse stato così, come spiegare a mamma e papà una così lunga assenza? Raccontare la verità... beh, manco a pensarci. Sarebbe seguito immediatamente il ricovero in Neurologia... Ma allora cosa dire? Le sue meditazioni furono interrotte da un tocco leggero sulla spalla. Era Giuliano. ”Mi sento molto meglio, stamattina. Tu come stai?” “Bene, grazie” fece Gianluca alzando gli occhi a guardare l’amico. “Ma a guardarti in faccia, non sembri così in forma. Sembri una cartina geografica” “Deduco che da queste parti non esistono specchi. Dovresti vedere la tua, di faccia...” E finalmente i due scoppiarono in una risata liberatoria. Il peggio era passato. In quella, videro il vecchio inerpicarsi su per il pendio appoggiato al suo bastone. Raggiungendoli, sorrise: ”Finalmente vi vedo tutti e due in piedi. Bene, bene... direi che domani potrete partire.” Ed entrò nella capanna. Aveva trascorso i giorni della loro convalescenza immerso in complessi calcoli e studi, borbottando sino a tarda notte formule incomprensibili, e tracciando strani segni su sottili fogli di corteccia d’albero che ora teneva sparsi sul suo tavolo da lavoro. Sembrava molto sicuro del fatto suo, e i due ragazzi speravano che lo fosse davvero. Tuttavia la cena di quella sera fu particolarmente silenziosa. Nessuno aveva voglia di parlare. Anche la curiosità di Gianluca, che gli aveva fatto tempestare di domande il vecchio sulle usanze e il modo di vivere di quel tempo, sembrava essersi spenta. Sorbiva silenzioso la sua zuppa d’erbe, guardandosi intorno e pensando che all’indomani sarebbe tornato, se tutto andava bene, alla sua vita di sempre. Si sorprese a pensare che in un certo senso avrebbe sentito la mancanza di quel mondo, e del gentile vecchio. Quella notte nessuno dei due ragazzi riuscì a dormire molto, e ne passarono una buona parte a parlare, scambiandosi opinioni e speranze sul futuro che li attendeva. Il tutto col sottofondo del sommesso russare del vecchio, al quale, evidentemente, lo straordinario evento che stava per compiersi non aveva tolto il sonno. Il mattino seguente si alzarono prima dell’alba, si rifocillarono in fretta, e raggiunsero il Portale. Illuminato dai primi raggi del sole che appariva tra gli alberi, il vecchio sollevò con entrambe le mani l’Occhio dei Mondi, intonando una complessa litania. I due ragazzi stavano alle sue spalle, e cercavano di sbirciare incuriositi attraverso il prezioso monile in direzione del Portale. Improvvisamente, all’interno della lente ci fu come un lampo di luce rossa, poi cominciò ad intravvedersi, guardandovi attraverso, come una serie di rapidi movimenti al di là del Portale. La sensazione di movimento crebbe sempre più, sino a mettersi completamente a fuoco. Mentre il Sapiente si concentrava intensamente sull’Occhio dei Mondi, continuando la sua litania, per mezzo di questo Giuliano e Gianluca videro al di là del Portale alternativamente materializzarsi e scomparire paesaggi incredibili, alcuni di bellezza esaltante, altri orrendi e spaventosi. Uomini, donne, ma anche creature inconcepibili apparivano brevemente per poi scomparire. Ad un certo punto Gianluca vide avvicinarsi rapidamente, come per avventarsi su di loro, un essere talmente simile al demone a cui erano sfuggiti per un soffio nei sotterranei, che chiuse gli occhi lasciandosi sfuggire un grido soffocato. Quando li riaprì il mostro non c’era più, sostituito da un oceano di incomparabile bellezza. In quel momento il vecchio, sempre continuando a tenere con una mano il monile, e senza interrompere la sua cantilena, fece loro cenno di passare davanti a lui proprio di fronte al Portale. Ora non erano in grado di cogliere più nulla di strano al di là, soltanto la quiete del bosco nel primo mattino. La litania alle loro spalle crebbe di tono fino ad interrompersi improvvisamente. “Adesso! Adesso! Saltate subito!” Un pensiero fumineo attraversò la mente di Gianluca: non avevano nemmeno chiesto al vecchio come si chiamava... “Qual’é il tuo nome? Non so il tuo nome!” urlò mentre Giuliano lo trascinava per un polso, e il vecchio lo spintonava al di là della soglia. “Daunus... Il mio nome è Daunus....”. La voce gli giunse come da molto lontano, tanto che non fu nemmeno certo di averla udita davvero. Il passaggio fu rapidissimo: un brivido freddo, un breve incespicare, poi la luce del sole e il rumore improvviso e spaventoso, quasi dimenticato, di un’automobile che passava veloce sulla strada solo un paio di metri davanti a loro. Dall’altra parte, lucenti e perfetti, i due scooter, illuminati dal sole al tramonto. Alle loro spalle, il cancelletto arrugginito e cadente, ma ai loro occhi minaccioso nella sua malconcia semplicità. Solo forzandosi Gianluca trovò il coraggio di allungare un braccio al di là, per prenderne la porticina e tirarla con forza verso di sé per accostarla. “Tornerò domani, a metterci una catena” disse con voce piatta. Giuliano non fece commenti e attraversò la strada. Le chiavi dei motorini erano ancora nelle tasche dei pantaloni. Salirono in sella, ma nessuno dei due avviò il motore. “Che giorno sarà?” si chiese Gianluca “Impossibile giudicare quanto tempo possa essere passato in questa dimensione mentre noi eravamo di là... Lo stesso tempo, uno più breve, o uno più lungo... chi lo sa?” Un mezzo sorriso speranzoso apparve sul viso di Giuliano: “Penso molto più breve... se fosse passato molto tempo i nostri scooter non sarebbero più qui. Oppure sarebbero molto sporchi, e invece sono perfetti.” “Hai perfettamente ragione” assentì Gianluca, ammirando ancora una volta il maggior senso pratico dell’amico. “Se siamo fortunati, anzi, non sono passate che poche ore da quando siamo usciti di casa...” Gianluca guardò il proprio orologio, e Giuliano fece altrettanto. Parevano funzionare perfettamente, ed entrambi segnavano le 18,45 del giorno in cui si erano incontrati per attraversare il cancello. Nel loro tempo quindi non erano passate che tre ore e mezza... Era possibile? Se ne sincerarono poco dopo, scendendo verso il paese. Ad un anziano signore che passeggiava, e che li osservò perplesso, chiesero ora e data. Corrispondevano. Dopo un breve saluto e senza ulteriori commenti, si affrettarono ognuno verso casa. La madre di Gianluca quella sera si dimostrò particolarmente contrariata dallo stato in cui si trovavano gli indumenti del figlio. “Insomma, credevo che alla tua età fossi capace di stare più attento a quello che fai! Questa roba fa schifo, è tutto da buttare! Ma cos’hai combinato oggi? Si può sapere? Ti sei azzuffato con qualcuno? Ma guarda, guarda qui che disastro! Sembra che tu ti sia rotolato nel fango per una settimana... Ma come si fa a ridurre la roba in questo stato in un solo pomeriggio? Questo mese la paghetta te la sogni... Nessun riguardo e nessuna considerazione per il lavoro degli altri, ecco cos’è! Ma cosa credi? Che i soldi crescano sugli alberi?...” E via così per una mezz’oretta. Ma Gianluca era troppo stanco e traumatizzato. Mormorò un paio di scuse e se ne filò a letto appena dopo cena. L’indomani seppe che la stessa scena si era svolta, più o meno, a casa di Giuliano, e che le due mamme si erano consultate al telefono per capire cosa avessero mai combinato quel pomeriggio i due disgraziati scavezzacollo, ma senza risultato, come ovvio. Lo stesso giorno, Giuliano si procurò, a casa della nonna, una catena e un robusto lucchetto, e insieme a Gianluca provvide a sigillare nuovamente il cancelletto. In ogni caso, entrambi parevano recalcitranti a commentare la loro strana avventura. Solo dopo qualche settimana riuscirono a parlarne, ma tutti e due parevano più che altro propensi a lasciarsi tutto alle spalle e dimenticare al più presto. Purtroppo, su quella curva restava sempre il minaccioso cancello, e anche se entrambi avevano accuratamente evitato di passarvi davanti da allora, sapevano benissimo che era lì, e non sarebbe sparito nel nulla come avrebbero invece ardentemente sperato. Fu solo mesi dopo, nell’autunno che lo rividero. La nonna di Giuliano, con la scusa delle gambe malferme, un pomeriggio insistette per farsi accompagnare dai due a cercar castagne per le caldarroste. Cesti alla mano la seguirono, e non riuscirono a dissuaderla quando lei prese decisa la strada che portava al famoso cancelletto. Vi transitarono accanto con un brivido, poi la nonna imboccò un sentierino che si inoltrava nel bosco, poco più avanti. Gianluca indicò senza parlare il cancello, ed entrambi si accorsero con orrore che la catena era stata nuovamente rimossa. Si guardarono in silenzio, ma poi Giuliano scosse la testa in modo eloquente: cosa mai ci potevano fare, a quel punto? Proseguirono alle spalle della nonna, tutta impegnata nella ricerca delle castagne. Ad un certo punto, videro avanzare lungo il sentiero un anziano signore dalla corta barba grigia ben curata, vestito con pantaloni di velluto ed una antiquata giacca di lana. Procedeva a testa bassa frugando tra le foglie col suo bastone, come fosse anche lui alla ricerca di castagne. Rispose con un educato “Bundì” al saluto della nonna, che lo superò per raggiungere un grosso castagno più avanti, ma... “Guarda il suo bastone!” bisbigliò Gianluca sbarrando gli occhi. Il bastone era riccamente intagliato con figure di animali e piante che si intrecciavano. “Oddio!” esclamò Giuliano “Ma è... lui è...” Daunus alzò lo sguardo e sorrise gaiamente ai due ragazzi. “Ci voleva un migliore controllo su questo lato del Portale... e anche su alcuni altri varchi. Fortunatamente adesso ho la chiave” ed estrasse per un istante l’Occhio dei Mondi da una delle profonde tasche dei suoi pantaloni di velluto. “Peccato solo che da questa parte ci siano così poche castagne... così piccole poi!” Ammiccò ironico ai due, rimasti impietriti, e si allontanò sogghignando sotto i baffi. |
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